Verso l'istituzionalizzazione totale dell'infanzia


1.

Torno volentieri a scrivere, dopo l'articolo di dieci anni fa al quale peraltro non modificherei una virgola, sulla condizione infantile. Chi ha letto l'articolo sa per quali motivi non ritengo affatto che i bambini oggi siano più felici e sereni di quelli di un tempo. In SMT ho tratteggiato il comportamento dell'infante medio contemporaneo in questi termini: "Alcuni neonati succhiano l'ansia col latte materno, tant'è che dal primo assaggio lo sputano a destra e a sinistra. Dormono di giorno e di notte fanno gli esercizi preparatori per andare in discoteca. Piangono a perdifiato e, per farli stare zitti, occorre tenerli in braccio e non fermarsi un attimo. Una cosa del genere, negli annali dell'umanità, non si era mai vista. Gli psicologi, che non sanno che consigli dare ai genitori disperati, parlano brutalmente di bambini matricidi. Ma, dato che la notte almeno, il padre è in casa e la moglie, esasperata, gli impone di condividere le gioie della maternità, il capo d’imputazione è un po' più grave. I parenti che, spaventati dall'ossesso, si guardano bene dal tenerlo un po' con sé, confortano i genitori dicendo loro che, crescendo si calmerà. Talvolta è vero, talaltra no. I recidivi, non appena riescono a stare su due zampe, non si limitano a camminare. Si arrampicano su per i mobili, volteggiano, spazzano via tutto quello che trovano sul loro cammino, si specializzano a rompere telefonini, computers, videoregistratori, hi-fi. La liberazione avviene quando si riesce a scaricarli all'asilo. L'esaurimento se lo prendono le maestre. Perché poi se il pargoletto - sostengono i genitori - è solo un po' vivace?". Si tratta evidentemente di una drammatizzazione ironica, che però non è molto lontana dalla realtà.

Il discorso va ripreso dalla fine. L'istituzionalizzazione asilare, oltre che una necessità, è una liberazione per i genitori, che scaricano lo stress dell'alevamento sulle insegnanti. La situazione è destinata a complicarsi. Già oggi, in seguito al boom demografico isolato dell'anno 2000 (dovuto ad un'euforia collettiva che si è spenta rapidamente, inducendo alcuni incauti procreatori a mordersi le mani) e all'immigrazione, c'è una quota rilevante di bambini che devono fare la fila per entrare all'asilo prima e alla scuola materna poi. Anche se i dati variano da regione a regione, la media degli esuberi è di oltre il 35% per gli asili e poco meno del 20% per le scuole materne. L'entrata in azione della Riforma Moratti l'anno prossimo, che prevede al possibilità dell'iscrizione alla scuola materna di bambini di due anni e mezzo, è destinata ad aggravare il problema. A ciò va aggiunto il taglio delle spese sociali, già varato dal governo, che blocca l'immissione di nuovo personale finché (prospettiva remota) il bilancio dello Stato non sarà risanato. In conseguenza di questo, le regioni hanno già provveduto ad affrontare il problema nell'unico modo possibile: prevedendo l'aumento del numero dei bambini nelle classi. Il rapporto insegnanti-bambini, già oggi squilibrato, giungerà presumibilmente ad essere di 1 a 30. Quali saranno gli effetti di una situazione del genere?

Per chi ancora si appella al principio della socializzazione precoce, gli effetti non potranno essere che positivi: l'aumentato numero d'interazioni agevolerà la differenziazione delle personalità individuali. Dato che tali interazioni riguarderanno anche una quota di bambini stranieri, si realizzerà anche anzitempo un confronto tra diverse culture atte a preparare i cittadini del mondo prossimo venturo, quello della globalizzazione totale interetnica.

Si tratta di balle, ma, per smontarle, occorre un lungo discorso.

2.

E' stato Philip Ariès a definire come una grande istituzionalizzazione la creazione degli asili nido e delle scuole materne e l'internamento in essi dell'infanzia. Perché parlare di istituzionalizzazione? Perché gli asili e le scuole sono istituzioni burocratiche, fondate su regole che non mirano affatto ad agevolare la differenziazione della personalità, avendo di mira, come prodotto finale, il cittadino medio. Perché parlare d'internamento? Perché il bisogno di socializzazione infantile si è sempre realizzato, a memoria d'uomo, sul piano delle interazioni spontanee e in un rapporto continuativo con gli adulti. L'internamento asilare e scolare implica di fatto la segregazione, l'interazione obbligatoria senza possibilità di ritiro e il distacco non già dalla madre ma dal mondo degli adulti.

Si tratta peraltro di una necessità sopravvenuta a seguito d'imponenti cambiamenti sociali che si possono ritenere irreversibili: la nuclearizzazione della famiglia e l'inserimento delle donne nel mondo del lavoro. Occorrerebbe tenere conto di questi aspetti per non confondere i bisogni del sistema sociale e quelli degli adulti con i bisogni dei bambini. L'istituzionalizzazione asilare e scolare materna, di fatto, è una violenza che viene perpetrata sui bambini. Una violenza necessaria, i cui esiti dipendono in parte dalla costituzione psicologica del bambino in parte dall'organizzazione dell'istituzione.

L'ho detto e lo ripeto: per alcuni bambini, che vengono al mondo con un orientamento introverso, la socializzazione precoce è una violenza in senso proprio. Il loro bisogno di socialità matura lentamente e ha un carattere selettivo: essi tendono a stabilire rapporti con gli affini. Non sopportano l'interazione con un gruppo allargato, spesso non reggono il peso delle interazioni fisiche, odiano la confusione e il rumore. Sono bisognosi, più degli altri, di un rapporto privilegiato con una figura adulta. A livello di asilo e di scuola materna, questo problema è noto, ma dà luogo allo stigma nei confronti del bambino che ha paura di staccarsi dalla figura genitoriale e ha bisogno di stare accanto alla maestra. Queste circostanze inducono precocemente una percezione di diversità soggettiva e sociale in senso negativo destinata ad influenzare tutta l'evoluzione della personalità.

Molti bambini introversi sono sprovveduti di quel tasso di aggressività (positiva secondo alcuni psicologi) necessari per reggere il peso delle interazioni di gruppo. Non so se questo sia un valore o un difetto. Di certo, esso diventa un difetto in rapporto a gruppi infantili che sempre più spesso manifestano moduli di comportamento aggressivi, incentrati sul bisogno di dominare. L'identificazione del bambino introverso come un soggetto debole e inerme spesso dà luogo ad autentiche "persecuzioni", che non lasciano affiorare alcuna reazione, ma danno luogo ad emozioni di rabbia antisociale destinate spesso a compromettere la socializzazione ulteriore.

Gli altri bambini sembrano cavarsela molto meglio, ma, analizzati criticamente, i loro comportamenti vivaci appaiono come indizi di una reazione allo stress. Non riescono a stare fermi, tendono a scaricare sugli altri la loro aggressività, usano un tono di voce elevato. L'iperattività motoria è ormai colta da tutti gli operatori come un problema. L'inquinamento acustico degli ambienti asilari e scolari materni viene, invece, minimizzato. Io ritengo invece che sia un fattore incisivo, che permette di comprendere l'irrequietezza dei bambini che si perpetua nelle mura domestiche e che speeo interferisce anche con il sonno.

L'istituzionalizzazione non incide solo sui bambini, ma anche sulle maestre. Per quanto possa essere elevata la vocazione alla cura dell'infanzia (e non sempre lo è), è impossibile che una maestra non risenta della responsabilità di tenere a freno una masnada di "diavoletti" e non accusi il peso dell'inquinamento acustico. Le conseguenze di questo sono diverse a seconda della personalità dell'insegnante. Alcune risolvono il problema con un atteggiamento severo che mette in soggezione i bambini e realizza l'ordine sulla base della paura. Altre lasciano fare, ma si esauriscono, esplodendo in crisi ricorrenti di rabbia o implodendo. L'implosione si traduce in sintomi psicosomatici o in depressioni larvate. Il tasso di assenza per malattia tra le insegnanti asilari o materne è elevatissimo, e fa lievitare i costi di gestione. Esso è però in genere più fondato che in ogni altro ambito pubblico.

Uguagliare il lavoro della maestra di asilo o di scuola materna ad un qualunque impiego pubblico è un'assurdità, che non tiene conto del carattere logorante di tale lavoro.

Se tutto questo è vero, l'affollamento delle classi asilari e materne e il blocco delle assunzioni determinerà un ulteriore incremento dei fenomeni descritti. Forse non si arriverà ai livelli noti delle istituzioni totali, ma di certo ci si avvicinerà ad essi.

3.

L'alternativa, per le famiglie che possono permetterselo, sono gli asili e le scuole materne private, in massima parte gestiti dalle suore. Nell'ottica dell'attuale governo, che tende ad equiparare scuole pubbliche e scuole private, si tratta di una buona alternativa. Se le casse dello Stato non fossero vuote, si sarebbe probabilmente già provveduto a concedere, alle famiglie, un bonus in quella direzione. E' prevedibile che, allungandosi la lista delle attese, una quota di famiglie sarà costretta ad optare comunque per tale soluzione.

Il problema è che se gli asili e le scuole materne statali rischiano di trasformarsi in istituzioni totali, quelli privati già lo sono. L'ordine e la quiete (relativa) che vigono in esse, e che vengono tanto apprezzate dai genitori congiuntamente alla pulizia, sono già indizi sufficienti in tale senso. Ma non si tratta di indizi formali.

Io ritengo che le suore, indipendentemente dalla loro buona fede, dalla dedizioe e dalle qualità umane, siano, per motivi ideologici, le persone meno adatte per educare i bambini. La loro propensione a dedicarsi all'infanzia discende dall'identificare nel bambino un essere la cui influenzabilità e la cui innocenza consente di istillare buoni principi destinati a durare tutta la vita. Purtroppo, questa percezione non prescinde mai dal fatto che la natura umana è comunque attentata da una tendenza al male, che il demonio tende a sfruttare. Questo significa che l'intento educativo è ambivalente: tende nello stesso tempo a potenziare la vocazione spirituale dell'uomo e a estirpare i germi maligni, intrinseci alla sua natura.

Non intendo dire che le suore siano consapevoli di questa ambivalenza. Concedo ad esse, tranne rare eccezioni che rientrano nell'ambito di una patologia del carattere, che l'abito e il ruolo permettono di mascherare, una totale buona fede. Rimane il fatto che tanto esse sono inclini a confermare i bambini angelicati, che accondiscendono puntualmente alle loro aspettative, contribuendo ad orientarli verso un'evoluzione della personalità sul registro del falso Io, tanto esse interagiscono con i bambini oppositivi e ribelli e con i comportamenti oppositivi in maniera drammaticamente repressiva (conscia o inconscia che sia). Non potrebbe essere diversamente perché esse, per fede e per ideologia, vedono, nel non eseguire un ordine, nello stare scomposti, in uno sguardo sfrontato, in un'impuntatura, trasparire l'azione del Maligno che attenta l'anima innocente. Qualcuno dirà che questa è una drammatizzazione. A me verrebbe piuttosto da affermare che è una banalizzazione il fare riferimento al fatto che, tranne rare eccezioni di suore arcigne e manifestamente sadiche, esse sono in genere dolci, affettuose e naterne. Lo sono di fatto finché non si trovano di fronte ad atteggiamenti opposizionistici, che inducono un repentino smottamento della personalità.

Non pochi bambini riferiscono e non pochi pazienti rievocano questa esperienza drammatica d'interazione con personalità che sono culturalmente sdoppiate: Perché non si dà credito a queste testimonianze? Perché si continua a pensare che i bambini esagerano? Perché si continua ad affidare i bambini a persone che, sia puire inintenzionalmente e incolontariamente, possono danneeggiarli e di fatto ne danneggiano alcuni?